Tuesday, August 12, 2003
In Italian from the Corriere della Sera, an interesting and unusual ( for Italian political pundits ) perspective on Euro-wide values and rights.
Destra e sinistra, analoga debolezza culturale
IL RIFORMISMO SENZA CITTADINANZA
di PIERO OSTELLINO
Indipendentemente da ogni giudizio su Berlusconi, è un fatto che il mancato decollo del suo programma di riforme è, per il Paese, una nuova occasione perduta sulla strada del cambiamento. In prospettiva, il danno, poi, è accresciuto dall’assenza di una domanda e di un’offerta, alternative al riformismo del centrodestra, da parte rispettivamente della società civile e di quella politica di centrosinistra. Il riformismo non ha cittadinanza, in Italia, né a destra né a sinistra, perché entrambe hanno firmato una sorta di «armistizio» con gli interessi organizzati. La destra ci ha provato a essere riformista, ma ha fallito perché a prevalere è stata la sua vocazione corporativa. La sinistra non ci prova neppure, perché, in cambio della propria legittimazione, si è eletta a rappresentante degli interessi dell’establishment industriale, economico, finanziario e intellettuale che, per la sua stessa natura, è conservatore.
Così, sia la destra sia la sinistra, anche se per ragioni e con culture diverse, hanno una concezione «collettivista» della società. E sono convinte che compito della politica sia realizzare la convergenza fra gli interessi dei gruppi organizzati e non fra singoli individui dotati di razionalità e di libertà e capaci di organizzare da sé i propri rapporti con i loro simili. Individui che, perciò, destra e sinistra tendono a collocare all’interno di una cornice sociale, di interessi categoriali e di «astrazioni collettive», la più emblematica delle quali sta già nel primo articolo della Costituzione, là dove esso recita che «l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
La precondizione della rinascita dell’Italia è, dunque, una riforma della Costituzione che, depurandone il testo delle eredità del tempo in cui è stata approvata, conferisca un ruolo centrale all’individuo. L’umanità non è costituita da categorie più o meno complesse, ma da uomini e donne in carne e ossa che rivendicano l’intangibilità delle proprie scelte morali, politiche, di vita; i tanti, piccoli pontefici «interni» quante sono le coscienze individuali che hanno sostituito il solo, grande pontefice «esterno» (lo Stato non meno che la Chiesa). Né la democrazia (da sola) è in grado di difendere le libertà individuali, nella società di massa, dalla «tirannia della maggioranza».
La libertà tanto più cresce quanto più si allargano gli ambiti, i cosiddetti diritti naturali soggettivi, all’interno dei quali l’individuo è libero di agire come preferisce, e si riducono i divieti. E’ stato, infatti, l’individualismo liberale a produrre il «miracolo occidentale». Ed è stata la libera competizione a infondere fiducia e vigore a società costituite da uomini liberi e intraprendenti.
E’ con questa stessa logica di riformismo liberale che dovrebbe svilupparsi anche il processo di unificazione europea. Il quale pare invece limitarsi a cercare di sostituire con una nuova «sovranità europea» le vecchie «sovranità nazionali», a loro volta sostitutive delle antiche «sovranità regali». Non secondo il pensiero di Montesquieu che «il potere arresta il potere», bensì secondo quello di Rousseau di una neonata Volontà generale, moderna incarnazione del monarca assoluto, che dovrebbe governare la «nazione europea» come se questa non fosse costituita da una moltitudine di individui, ma l’espressione di nuove «astrazioni collettive», le stesse che hanno impedito agli Stati-nazione continentali, figli della Rivoluzione francese, di essere liberali.
postellino@corriere.it
Destra e sinistra, analoga debolezza culturale
IL RIFORMISMO SENZA CITTADINANZA
di PIERO OSTELLINO
Indipendentemente da ogni giudizio su Berlusconi, è un fatto che il mancato decollo del suo programma di riforme è, per il Paese, una nuova occasione perduta sulla strada del cambiamento. In prospettiva, il danno, poi, è accresciuto dall’assenza di una domanda e di un’offerta, alternative al riformismo del centrodestra, da parte rispettivamente della società civile e di quella politica di centrosinistra. Il riformismo non ha cittadinanza, in Italia, né a destra né a sinistra, perché entrambe hanno firmato una sorta di «armistizio» con gli interessi organizzati. La destra ci ha provato a essere riformista, ma ha fallito perché a prevalere è stata la sua vocazione corporativa. La sinistra non ci prova neppure, perché, in cambio della propria legittimazione, si è eletta a rappresentante degli interessi dell’establishment industriale, economico, finanziario e intellettuale che, per la sua stessa natura, è conservatore.
Così, sia la destra sia la sinistra, anche se per ragioni e con culture diverse, hanno una concezione «collettivista» della società. E sono convinte che compito della politica sia realizzare la convergenza fra gli interessi dei gruppi organizzati e non fra singoli individui dotati di razionalità e di libertà e capaci di organizzare da sé i propri rapporti con i loro simili. Individui che, perciò, destra e sinistra tendono a collocare all’interno di una cornice sociale, di interessi categoriali e di «astrazioni collettive», la più emblematica delle quali sta già nel primo articolo della Costituzione, là dove esso recita che «l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
La precondizione della rinascita dell’Italia è, dunque, una riforma della Costituzione che, depurandone il testo delle eredità del tempo in cui è stata approvata, conferisca un ruolo centrale all’individuo. L’umanità non è costituita da categorie più o meno complesse, ma da uomini e donne in carne e ossa che rivendicano l’intangibilità delle proprie scelte morali, politiche, di vita; i tanti, piccoli pontefici «interni» quante sono le coscienze individuali che hanno sostituito il solo, grande pontefice «esterno» (lo Stato non meno che la Chiesa). Né la democrazia (da sola) è in grado di difendere le libertà individuali, nella società di massa, dalla «tirannia della maggioranza».
La libertà tanto più cresce quanto più si allargano gli ambiti, i cosiddetti diritti naturali soggettivi, all’interno dei quali l’individuo è libero di agire come preferisce, e si riducono i divieti. E’ stato, infatti, l’individualismo liberale a produrre il «miracolo occidentale». Ed è stata la libera competizione a infondere fiducia e vigore a società costituite da uomini liberi e intraprendenti.
E’ con questa stessa logica di riformismo liberale che dovrebbe svilupparsi anche il processo di unificazione europea. Il quale pare invece limitarsi a cercare di sostituire con una nuova «sovranità europea» le vecchie «sovranità nazionali», a loro volta sostitutive delle antiche «sovranità regali». Non secondo il pensiero di Montesquieu che «il potere arresta il potere», bensì secondo quello di Rousseau di una neonata Volontà generale, moderna incarnazione del monarca assoluto, che dovrebbe governare la «nazione europea» come se questa non fosse costituita da una moltitudine di individui, ma l’espressione di nuove «astrazioni collettive», le stesse che hanno impedito agli Stati-nazione continentali, figli della Rivoluzione francese, di essere liberali.
postellino@corriere.it
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